La beat generation è stata spesso oggetto di rievocazione storica in questi anni. E la novità dell'esordio di John Krokidas non sta nell'aver portato in luce una pagina dimenticata nell'adolescenza di Allen Ginsberg e dei suoi moschettieri Burroughs e Kerouac. È invece la costruzione di un "labirinto morale e intellettuale" (Damon Wise su «The Guardian») a diventare cifra espressiva e motivo narrativo. Fateci caso: le prime immagini del film sono quasi manieriste nella rievocazione d'epoca. Ma col passare dei minuti (e degli incubi dei protagonisti) il tono del racconto cambia, si fa visionario, lisergico, spazza via le regole della storicità e del period film, proietta gli antieroi di una generazione nel calderone dell'oggi, come se il tempo fosse un liquido amniotico, compresente e viscido. Della beat generation Krokidas recupera invece l'eccezionalità dei protagonisti: ragazzi normali che scrivono la Storia senza averne coscienza, ma avvertendone oscuramente l'urgenza ribelle e l'emozione trasgressiva. Dal college di Hogwarts alla Columbia University, Daniel Radcliffe è diventato un interprete multiforme ed emozionante. E il suo viaggio nel senso di colpa per la sorte di Lucien Carr (un formidabile Dane DeHaan) diventa presto anche il nostro. [Giorgio Gosetti]